Speciale Boschi Di Stefano - Filippo De Pisis - Casa Museo Boschi Di Stefano
Speciale Boschi Di Stefano - Filippo De Pisis
La Collezione Boschi Di Stefano conserva sei opere di De Pisis, tre dedicate a scorci di Venezia e tre nature morte. Le opere coprono un arco temporale che va dal 1925 circa, con la Natura morta con vaso di fiori, dove l’impasto denso e le forme bloccate richiamano ancora l’esperienza romana, fino al 1947 con un altro Vaso di fiori. In questo lasso di tempo si collocano le altre opere: gli scorci veneziani dedicati al Palazzo delle Poste (1931) e al Palazzo Ducale (1931), un Interno con bottiglia (1940) e la veduta della Chiesa di San Moisè (1945).
De Pisis frequenta Venezia fin dagli anni Venti. Dai suoi diari e taccuini e dalle fonti coeve si possono ricostruire i suoi spostamenti tra le più importanti capitali europee: Roma (1920-24), Parigi (1925-30; 1931-35; 1936-38), Londra (1931-35) e Milano (1939-42). Si stabilisce nella città della Serenissima dal 1943 fino al 1949, quando si rendono necessari i sempre più assidui ricoveri in cliniche, quali Villa Fiorita a Brugherio.
Della città lagunare ama soprattutto il volto anticlassico, le forme architettoniche tipiche, indagate nel loro essere intagliate dalla luce e dall’atmosfera, che fin dai primi soggiorni cerca di ricreare sulle tele con segni veloci, quasi stenografici, per ricostituire la fugacità dell’impressione visiva prima del suo cambiamento. La critica vede nelle opere di De Pisis un accostamento ai rappresentanti della corrente pittorica veneto-impressionista, coniugando la locale tradizione della luce-colore e del vedutismo del XVIII secolo con la moderna lezione dell’Impressionismo e del Tardo Impressionismo, ben assimilata durante i soggiorni parigini. Si osserva nelle opere degli anni Trenta l’emersione della pittura più tipica di De Pisis, composta da caratteri veloci, piccoli, schematici. Forti sono i legami con Juti Ravenna e i pittori della seconda generazione della Scuola di Burano.
Nella veduta del Palazzo Ducale, ripresa sul versante della Riva degli Schiavoni, verso il Palazzo delle Prigioni Nove, che si intravede in secondo piano oltre il Ponte della Paglia, movimenti rapidi e uniformi si rivelano in un’assoluta sintesi delle forme, in un equilibrio cromatico di rosa e nero.
Le Poste di Venezia si espone per la prima volta alla Biennale del 1932, nella sala destinata alla Mostra degli italiani a Parigi, insieme ad altre sedici opere dell’artista ferrarese, in compagnia di opere di De Chirico, Severini, Campigli, Fini, Garbari e Marini.
Il San Moisè del 1945 si pone in relazione con l’opera di medesimo soggetto, ma ritratto con taglio ravvicinato, oggi in collezione Jesi presso la Pinacoteca di Brera a Milano, ed esposta per la prima volta alla Biennale del 1932. Nel San Moisé in Collezione, la facciata teatrale e barocca della chiesa è rappresentata alla fine di uno scorcio prospettico che permette a De Pisis di aggiungere uno spaccato di animata vita veneziana. Nella tela si riconoscono già i turbamenti e le agitazioni che pervadono le tele veneziane successive, diffuse di segni sincopati, nervosi e turbati, in una evoluzione della pittura di De Pisis fino a quel momento rimasta fedele a sé stessa.
Il genere della natura morta è un tema che accompagna De Pisis in tutta la carriera. Nel suo catalogo si trovano composizioni fiorite, come nelle tele del 1925 e del 1947, collocate in un’ambientazione priva di riferimenti spaziali, dove alla precisa individuazione botanica dei fiori (De Pisis colleziona un preciso erbario poi donato all’ateneo di Padova) si contrappone la sintesi della linea; nature morte di soggetto variegato, come conchiglie, frutti, persino animali e aggregati di oggetti, per arrivare a degli spaccati domestici, come nell’Interno con bottiglia del 1940, dove i due recipienti vuoti e un bicchiere in primo piano lasciano intravvedere in secondo piano una stanza, i cui rapporti spaziali si sintetizzano in un muro viola, una porta aperta e un pavimento in parquet a lisca di pesce, creando un insieme adimensionale.
Testo a cura di Margherita Dequarti