Pubblicità lesiva e discriminatoria della dignità della donna

L'art. 3, comma 1, della Costituzione sancisce la pari dignità degli individui e il principio di uguaglianza e non discriminazione fra i generi. 
L'art 3, comma 2, attribuisce alla Repubblica e, dunque anche ai comuni, il compito di eliminare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di una parità effettiva tra uomini e donne. Tali principi devono essere rispettati e attuati anche nell'ambito della comunicazione e della pubblicità.

Già nel 1995 la Piattaforma di Pechino approvata dalla Conferenza mondiale sulle donne stabilisce che "i governi, nella misura compatibile con la libertà di espressione, devono incoraggiare i media ad astenersi dal presentare le donne come esseri inferiore, dallo sfruttarle come oggetti e merce sessuale invece che come esseri umani creativi, agenti fondamentali del processo di sviluppo, al quale contribuiscono e di cui sono beneficiarie".

Facendo propri i concetti della Costituzione, della Piattaforma di Pechino e conscio che la pubblicità di fatto costituisce un potente veicolo per riflettere e creare cultura, generando identità e valori, convinzioni e atteggiamenti che possono radicare negli individui stereotipi con cui identificarsi, il Comune di Milano è da sempre schierato contro ogni forma di discriminazione lesiva della dignità della donna.

Nel 2013 ha infatti deliberato, con voto unanime, una risoluzione che indichi le iniziative volte a contrastare la pubblicità sessista e/o a promuovere un uso responsabile dell'immagine della donna firmando con le agenzie pubblicitarie (ADCIO, Federpubblicità TP e unicom), una lettera di intenti e impegnandosi a "evitare di commissionare, ideare, realizzare e diffondere qualsiasi
rappresentazione che possa essere considerata stereotipata, degradante o discriminatoria o che sfrutti l'esposizione mediatica di parti del corpo della donna senza alcuna correlazione con il prodotto promosso"
.

La strada da fare è però ancora lunga.